Leggendo il libro-raccolta “Napoli” di Raffale La Capria c’è stato un passaggio che mi ha particolarmente colpito nella sezione “L’occhio di Napoli”.
Il libro è chiaramente incentrato su Napoli e tutto quello che ruota intorno all’essere napoletani e alla napoletanità.
Ecco, in forma ridotta, il dialogo immaginato che tanto mi ha colpito:
<<E’ perché siete come siete e siete sempre stati, che oggi siete ridotti così. E’ perché siete come siete e vi compiacete di essere, che avete la società più criminale. E’ perché siete come siete, che dovete essere sempre assistiti. E’ perché siete come siete che non producete e dunque non avete sviluppo. E’ perché siete come siete, che sarete sempre gli stessi >>, dice il solito moralista (leghista diremmo oggi, n.d.r).
<<Ma come si fa a non essere come si è?>> risponde il napoletano.
<<Non lo so è affar vostro>
<<E come si potrebbe voler essere come non si è?>>
<<Non lo so, è affar vostro>
…
<<E’ perché siamo come siamo e siamo sempre stati, che stiamo ancora qui. E’ perché siamo come siamo e ci piace di essere, che siamo preparati a tutto. E’ perché siamo come siamo e siamo sempre stati, che abbiamo pratica di catastrofi e vi passiamo attraverso. E come sopravvivemmo alla peste e al colera, alle eruzioni e ai terremoti, alla sovrappopolazione e alla miseria, alla disoccupazione alla camorra agli assassini alla droga, così sopravviveremo ad ogni disastro presente e a quelli futuri. Nel nostro essere come siamo ci sono più possibilità di essere, e di tornare ad essere, di quante voi possiate immaginare.>>
<<Si, ma perché parlate sempre di sopravvivere e mai di vivere?>>
<<Perché presto vivere sarà un lusso riservato a pochi. E’ meglio che i molti imparino a sopravvivere.>>
Tutto questo scritto ne “L’occhio di Napoli” del 1994.
Facendo anche una breve recensione del libro, la scrittura di La Capria è abbastanza aulica e necessita di notevole attenzione nella lettura, non è un libro da ombrellone insomma.
Le osservazioni che a volte si ripetono durante il passare delle pagine sono estremamente profonde e possono essere molto più utili ad un napoletano per capirsi che ad altri per capire i napoletani.
I riferimenti ad altri testi sono numerosi ed una buona istruzione classica (non necessariamente del ‘classico’ 🙂 ) potrebbe tornare utile.
La prospettiva descrittiva è quella di un napoletano che vive il distacco dalla sua città come un “poetico litigio”, una situazione in cui è stato facile impersonificarmi.
Durante lo scorrere delle pagine, il gioco dall’autore sul filo della comprensione realizza un affresco attendibile dell’emozione della napoletanità, viene quasi voglia di perdonarsi di essere napoletano e di far pace con tutto quello che spesso risulta inaccettabile di questa civiltà che comunque tanto amo e sento mia, anche nelle cose da rinnegare.
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